…suo babbo gli aveva spiegato l’idealismo di Berkeley con l’ausilio di un’arancia, chiedendogli se secondo lui il gusto dell’arancia stava dentro l’agrume o nella bocca di chi l’assaggiava. Quello che aveva capito in quel remoto giorno della sua infanzia, e che non riguardava solo l’idealismo di Berkeley, è che il mondo è fatto soprattutto di relazioni, e che il senso delle cose non sta dentro di loro ma nel rapporto che s’instaura con chi le percepisce, così come il sapore di un frutto lo determina l’incontro col palato di chi l’assaggia.
Bussai timidamente e, senza il minimo cambiamento di voce, Borges rispose: “Lasciate ogni speranza voi che entrate”
Ciò che accomuna Berkeley a filosofi come Locke, Cartesio, Malebranche e Leibniz è la posizione primaria che viene assegnata all’intelletto, come unità di tutti i principi di ragione. Ma a differenza dei suoi predecessori (e di molti altri suoi successori), l’intelletto diventa l’unica realtà dotata di sostanzialità. Il semplice fatto di percepire, di intuire questo o quell’oggetto sensibile non ci permette di poter affermare che quell’oggetto esista se non come oggetto della percezione.